Cinque anni di lavoro, 180 milioni di dollari spesi (male), attori hollywoodiani strapagati per fare poco o nulla, soliti effetti speciali per correggere scene banali e momenti noiosi, grande macchina da soldi. Questo è il fantasy moderno “La Bussola d’Oro”, scritto e diretto da Chris Weitz (“American Pie”), primo capitolo della trilogia “Queste oscure materie” che tanto ha fatto, e fa, discutere. L’autore del libro, Philip Pullman, ha ricevuto, dopo 14 milioni di copie vendute, tanti premi quante critiche, soprattutto da parte della Chiesa Cattolica. Pare che Pullman abbia voluto puntare il dito contro il Vaticano, denunciando la sua azione “distruttrice” nei confronti delle menti e del libero agire umano.
Il regista, tuttavia, ha ben pensato di evitare scandali o censure, ripulendo la storia da tutti gli elementi blasfemi e cucinando un buon panettone di Natale per grandi e piccini. Con l’aiuto di due sceneggiatori e di computer, Weitz propone la classica lotta tra Bene e Male. In un’epoca non specificata e in un mondo mai nominato, una dodicenne orfana, Lyra Belacqua (Dakota Blue Richards), vive e studia in un College inglese molto particolare, in cui un gruppo di Accademici fanatici tenta di nascondere la verità riguardante una strana polvere, un mondo parallelo al nostro e un progetto messo in pratica dal temuto Magisterium, l’autorità suprema che tutto controlla e tutto decide. Molti bambini vengono rapiti insieme al loro Daimon, l’animaletto che rappresenta la loro anima. Anche la piccola Lyra ne ha uno, il quale cambia continuamente aspetto e forma (a volte è un topolino, altre volte un morbido gatto o una farfalla). Tutti gli uomini e le donne possiedono un Daimon: solo quello degli adulti è stabilizzato e mostra sempre la stessa forma. Il Magisterium non tollera il libero arbitrio e pretende di imporre ciò che per questa istituzione è il Bene. I bambini sono così rinchiusi in un edificio-lager del Polo Nord in attesa di subire “un'operazione”.
La coraggiosa ed esile protagonista si intestardisce e vuole salvare i suoi compagni di giochi; in questa difficile e pericolosa impresa trova il prezioso aiuto di vari personaggi: il popolo dei Gyziani (zingari squattrinati), la strega Serafina (Eva Green), l’orso polare Lorek Byrnison (che ricorda tanto Falkor de “La Storia Infinita”) e Lee Scoresby, una specie di Bufalo Bill- Walker Texas Ranger (Sam Elliot). Tutti insieme appassionatamente per la grande guerra contro una spietata e glaciale Nicole Kidman, nei panni di un’agente del Magisterium, pronta a tutto per ingannare la piccola Lyra e strapparle la famosa Bussola D’Oro, l’unica a non essere stata distrutta. Quest'oggetto può essere usato solo da pochi eletti ed è fonte di verità: difende il superpotere della Polvere, demoniaco per gli accademici-bigotti e salvifico per la Scienza (tanto difesa dallo zio di Lyra, Daniel Craig).
Il prologo del film è un chiaro richiamo all’inizio de “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson, utile al regista per spiegare allo spettatore la situazione in cui è catapultato fin dai primi minuti. Tutto il resto è un gran minestrone di personaggi buoni e cattivi, animali parlanti che interagiscono con gli umani (nello stesso modo visto ne “Le Cronache di Narnia”), scene cupe e gelide, spesso angoscianti. Purtroppo ciò che doveva essere la chiave della favola, ovvero i Daimon e il loro significato, è stato messo in secondo piano e, alla fine del film, ciò che resta nella mente dello spettatore è soprattutto il coraggioso orso bianco. Della Polvere tanto acclamata all’inizio non vi è traccia. E che dire di Nicole, Eva e Daniel? Personaggi di passaggio e poco credibili. La Kidman nel suo ruolo di scienziata sadica non convince, Craig scompare subito, la Green quasi non si nota. L’unica stella a brillare al Circolo Polare Artico è quella della semi-sconosciuta Dakota Blue Richards.
“La Bussola d’Oro” è una favola in cui la Magia è la Tecnologia più sofisticata e i protagonisti veri sono i “soliti” effetti speciali made in Hollywood.
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